A voi la nostra nuova intervista a Luca Biscontini, critico cinematografico e capo redattore di Taxi Drivers, oltre a collaborare per diverse testate online e offline.
Luca Biscontini nasce nel 1974, anno in cui nelle sale italiane giungevano film straordinari, quali Profumo di donna, C’eravamo tanto amati, Gruppo di famiglia un interno, Il portiere di notte, Chinatown e La conversazione. La Settima arte lo ossessiona da sempre, tanto che si dice che già a dieci anni organizzasse cineforum obbligatori, in cui, alla stregua del potentissimo professor Guidobaldo Maria Riccardelli del Fantozzi di Salce, costringeva i suoi giovani amici a visioni estenuanti dei classici della cinematografia. Ama i film di Pasolini, Tarkovskji, Orson Welles, Carmelo Bene, Godard, Fellini, Rossellini, ma non disdegna il cinema popolare, ruspante, quello delle risate grasse, magari anche sguaiate. Perché non gli piace immedesimarsi, preferisce essere libero di muoversi negli spazi, tra profondità e superfici. Da più di quindici anni si occupa di critica cinematografica. Da dieci è caporedattore della rivista indipendente Taxi Drivers, ma ha collaborato e collabora con diverse testate cartacee e on line. Ha pubblicato vari saggi e articoli. Attualmente lavora a un testo sul cinema di Carmelo Bene. Non ama i professori, i baroni, quelli che si mettono in cattedra. Il suo motto è: “Eccedere e non cedere”.
Il film “Secondo Piano Scala B” racconta la storia di 5 protagoniste che hanno caratteristiche molto diverse fra loro: una è accomodante, una è impulsiva, una non riesce a dire no, un’altra è molto risoluta…Abbiamo chiesto alla nostra community sui social di dirci che cosa avrebbero voluto chiedere ad un gruppo di 5 donne pronte all’azione, come le mitiche Charlie’s Angels! Tu cosa chiederesti loro?
Considerando che le donne oggi, al netto delle differenze che le contraddistinguono, sono accomunate dal sacrosanto desiderio di realizzarsi, anche e soprattutto al di fuori di alcuni consunti schemi che oramai non sono più – per fortuna – operativi, gli chiederei non tanto di raccontare le loro esperienze in riferimento alle relazioni con il genere maschile, quanto, piuttosto, di sapere cosa pensano di quella dimensione più ancestrale e viscerale che è la maternità.
Il film “Secondo Piano” è pensato per essere fruito sui tre media, cinema, TV e web. Che ne pensi della transmedialità di un prodotto cinematografico? Ti piacerebbe vederlo realizzato?
La transmedialità è già realtà da un pezzo, per cui opporvisi sarebbe reazionario, nostalgico e anche un po’ sciocco. Ciò non toglie che la completa cessazione delle forme classiche di fruizione comporterebbe senz’altro una trasformazione radicale (probabilmente anche un impoverimento) del rapporto dello spettatore con l’opera. Il sospetto che da tempo nutro è che ciò che prima era “opera” possa diventare “prodotto”, ovvero che si passi dalla modalità della fruizione a quella del consumo, che è anche quella che si instaura con le merci. Ma forse la mia è una paura infondata, laddove un’opera degna di questo nome dovrebbe rimanere comunque inconsumabile.
Ci parli del tuo lavoro in Taxi Drivers?
Sono nato con Taxi Drivers, cinematograficamente parlando, una rivista che dal 2006 non ha mai smesso di dare il suo contributo in termini di informazione e approfondimento. Da anni ricopro il ruolo di caporedattore, il che mi consente di vivere e respirare cinema quotidianamente, circostanza che non può che rendermi felice. Anche perché la mia funzione mi mette nella condizione di spaziare a trecentosessanta gradi: oggi più che mai il cinema richiede che si instauri con esso un rapporto sfaccettato, frammentato, così come è, d’altronde, la realtà in cui viviamo. Migliaia d’immagini ci danzano intorno: ma non ci si deve arroccare, rifiutarle, piuttosto capire quali fra di esse – operazione tutt’altro che facile da compiere – fanno la differenza.
Quando e come è nata in te la passione per il Cinema?
Amo da sempre il cinema, fin dai tempi del Liceo, in cui partecipavo ai cineforum che di tanto in tanto venivano organizzati. Allora scoprii Kubrick e tantissimi altri grandi autori, anche se, ci tengo a sottolinearlo, il mio primo grande amore cinematografico fu per Federico Fellini, a cui devo tutto. Da ragazzo, facevo un sogno ricorrente: mi trovavo in via Margutta a Roma, dove lui viveva; lo vedevo mentre camminava contornato da tutta una sarabanda di maestranze che non lo mollava mai. Io mi facevo largo in essa, gli stringevo la mano e poi, timidamente, gli chiedevo: “Posso chiamarla maestro?”.
Cinque nomi di attrici nazionali o internazionali che a tuo parere hanno fatto la storia del cinema…
Oltre alla mia adorata Claudia Cardinale (una vera e propria ossessione), direi Jeanne Moreau, bravissima e naturalmente drammatica; Audrey Hepburn, un modello di donna anticonvenzionale, sofisticata ed elegante; la straordinaria Anna Magnani, viscerale e penetrante; Ingrid Bergman, con quel volto moderno e antico al tempo stesso. Potrei dirne tantissime altre, chiaramente. Queste sono le prime che mi sono venute in mente.
Almeno cinque nomi di attrici emergenti da tenere d’occhio…
A livello internazionale, direi Ellen Fanning, un’attrice con un’aura di purezza che da tempo non si vedeva. Nel panorama italiano, invece, mi piace la tenacia di Dafne Scoccia, dotata di quell’aspetto così naturalmente sanguigno che è divenuto sempre più raro.
Cosa farai domani – i tuoi progetti per il futuro…
Continuerò a vivere di cinema. Non saprei fare altro (e non voglio fare altro).