A cura di Lucia Liberti
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È destinato a confermarsi come il caso cinematografico del mese “Sulla mia pelle”, il film diretto da Alessio Cremonini sul caso di Stefano Cucchi. Tutti ne parlano, tutti lo guardano. Soprattutto, lo guardano ovunque. Non ci soffermeremo sulla (spinosa) questione delle proiezioni pirata – non attinente al tema dell’articolo – ma su un’altra particolarità del film: la distribuzione sia in sala che su Netflix. Una scelta coerente a quella tendenza transmediale che pare essere diventata d’obbligo per tutti i più recenti prodotti di successo.
Un esempio di segno opposto a quello di “Sulla mia pelle”, lungometraggio che dal festival del cinema di Venezia è approdato (anche) sui piccoli schermi, è Gomorra, la serie televisiva, la cui terza stagione è stata promossa (con grande consenso) mediante la proiezione in sala dei primi episodi.
Fluidità: ecco qual è il concetto chiave di questa sempre più diffusa forma di comunicazione mediale, interessata più ai linguaggi che ai dispositivi. In altre parole, abbiamo smesso di dare peso al dove, l’esperienza, per preoccuparci più del cosa, il contenuto: un film resta un film e una serie resta una serie, che siano visti su smart TV o al cinema.
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